Stranger Things 3 OST

Nostalgia canaglia. Ma forse non è neanche questo, a 35 anni. La retromania sta riempendo una generazione trasformandosi in qualcosa di difficilmente riducibile alla nostalgia visto che ora gli anni Ottanta ce li raccontano quelli nati dopo il 2000. Il punto è proprio che non c’è niente di autentico da raccontare. Cosa sono questi Ottanta, non sono anche un po’ Settanta? Cosa succede nel 1980 di così diverso che non sia già accaduto nel 1979? E così via. La storia iperprossima, quella che non si è ancora ridotta a fonti tradizionali come morti oggetti archeologici e libreschi ma ancora vive nei ricordi delle persone, è molto complicata da scrivere, perché è un mix di racconto soggettivo (come io – la mia estrazione sociale, la famiglia, – ho vissuto quegli anni) e racconto oggettivo (cosa dicono le cronache, cosa dice l’opinione pubblica, le istituzioni, cosa si è dimenticato) che quasi mai coincidono.

L’effetto nostalgia è questo straniamento tra qualcosa di autentico, gli anni Ottanta Certificati dall’Opinione Pubblica, dalla Storia, e la percezione, ancora fresca finché non morirà l’ultimo di quella generazione, che si ha di quel periodo. E pensate che la storia degli ultimi decenni non è che un mix di racconto soggettivo, oggettivo e l’effetto della retromania sui primi due. Che casino. Qual è la differenza tra il paese percepito, il consenso, e la realtà? Ha importanza porsi questa domanda? Salvini non se la pone più e verrà ricordato come una lacrima nella pioggia tra qualche anno.

Ma finché a comporre musica nostalgica ci sarà gente nata perlomeno nel ’75 possiamo stare tranquilli che qualcosa di interessante, quasi autentico, resterà.

La terza OST di Stranger Things è come le altre, anzi no, è un po’ peggio. C’è un’idea molto semplice alla base, un certo uso del synth, non arricchita a sufficienza dagli arrangiamenti. Michael Stern e Kyle Dixon, musicisti texani che non mi sento di definire compositori, con gli arrangiamenti non eccellono. Ma con le sonorità sì, eccome.

https://www.youtube.com/watch?v=lTswDruHaro

I primi secondi fanno venire un brivido dietro la nuca, tipo Billy, vero? E non è neanche il brano migliore. Lo ascolterei all’infinito come non ho mai fatto con i Verdena. Hanno indovinato un certo uso del synth. The first I love you è già presente in forma di demo, The first lie, nella seconda OST. Quando c’è un’idea così semplice alla base – intervalli di terza minore-relativa maggiore – l’esaltazione del contenuto sta negli arrangiamenti e Dixon-Stein, ripeto, non sono bravi in questo.

Fate un confronto tra Kids (OST 1) – il miglior pezzo di tutti in assoluto, sul finale ben tre linee melodiche che si sovrappongono, questo si che è arrangiare – e Boys and Girls (OST 3).

https://www.youtube.com/watch?v=-rRUlhywuBM

Non è che una ripresa cromatica, più frenetica, di Kids. Stiamo sempre là, l’idea è sempre quella. E si ripete. Come il telefilm, d’altronde. Valley of the moon, soundtrack di Dixon-Stein per un documentario National Geographic, è più ispirato, per esempio. L’atmosfera, anche lì, è azzeccata.

Ci sanno fare con le atmosfere. Tanti spunti, poche idee, scarso senso dell’arrangiamento.

È questa la chiave per farsi trascinare nella musica di Dixon-Stein. Bisogna affogare in questa retromania, farsi cullare dall’idea iniziale, dall’idea che si ha degli anni ’80 come posso averla io che sono classe 83 e non posso che ricordarmi un emerito cazzo degli Ottanta. Per me tutto comincia nel 1997 con The Fat of the land.

Stranger Things OST 3 sfiora il grottesco, come quando a Eleven (Millie Bobby Brown) sanguina il naso, come quando…no, non c’è niente di più grottesco che vedere una caccola di sangue uscire dal naso di una preadolescente che sposta un furgone col pensiero.

Ma se vi resta il grottesco vi perdete qualcosa di prezioso: una parafrasi degli Ottanta. Lasciate stare l'”autentico”, qui si tratta del modo in cui, negli anni Ottanta, immaginavamo il mondo. Il modo in cui Hopper (David Harbour) scimmiotta Magum PI e il machismo. Sembra chiaro che di autentico, nella storia iperprossima, ci sia poco. Una parafrasi nella parafrasi, una meta-citazione? No, una parafrasi e basta, queste musiche raccontano il modo in cui immaginavamo il presente, allora. Una cosa che sfugge quando parliamo di revival. Discutiamo di autenticità senza riflettere a sufficienza della teatralizzazione di ciò che in passato si teatralizzava: questa è la retromania. Le OST di Stranger Things raccontano un certo sapore, un modo con cui raccontavamo il mondo.

Lasciate ogni preconcetto o voi che entrate. Starcourt è il nome del nuovo mall che ha aperto ad Hawkins e i mall hanno questo jingle, o almeno è quello il jingle che ci si aspetta da un paesino immaginario dell’Indiana che si chiama Hawkins, nel 1985.

Per concludere, basta e avanza ascoltare la prima OST di Stranger Things per scoprire l’originalità delle idee melodiche della coppia di musicisti texani che prima di farsi i soldi con Netflix formavano la band S U R V I V E, proprio così, maiuscola con gli spazi. Così come basterebbe la prima stagione del telefilm per farsi un’idea del telefilm. Ma siamo sempre qui, ad ascoltarli.

  • Punctum
  • Originalità
  • Spasso
  • Produzione
  • Longevità
3.5

Summary

La terza OST della coppia Dixon-Stein è una ripetizione della seconda, che è una ripetizione della prima, che è un’ottima colonna sonora

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