Il glam confonde un po’. Bravo Achille Lauro

Boss Doms e Achille Lauro (Daniele Venturelli/Daniele Venturelli/Getty Images)

Si vede che è un festival della tv perché basta che uno si veste come si vestiva Bolan cinquant’anni fa per far storcere il naso come un londinese del 2020 può far storcere il naso fuori un bar di Stella Cilento. Lauro, come Bolan cinquant’anni fa, non sa cantare ma sa fare tutto il resto. Si chiama glam. Non è importante che gli spettatori sappiano quali siano le intenzioni di Lauro, anzi, la provocazione del glam è proprio confondere gli spettatori sull’identità sessuale di chi canta (se non sai manco chi sei, oppure non ci tieni a farlo sapere, come potrà mai essere chiaro quello che fai?).

Il glam fa parte della storia della musica perché ha trasformato il rock in una performance teatrale. Un gesto che per qualcuno ha distrutto il rock, scaricandone la carica sovversiva, secondo altri lo ha arricchito con una cosa che gli mancava, l’istanza sessuale. La differenza è che Bolan ha ispirato Elthon John e David Bowie ai tempi delle rivendicazioni LGBT, Achille Lauro fa retromania a un festival di musica popolare in un periodo storico ultraconservatore.

Purtroppo, casomai ci fosse bisogno di dirlo, la performance di Lauro non ha alcuna carica sovversiva. Semmai se Lauro si deve vestire così cinquant’anni dopo le rivendicazioni LGBT, e al LXX Festival di Sanremo, vuol dire che gli LGBT ce li siamo pappati.

Tutto torna, è giusto che gli spettatori di questo festival di musica popolare restino un po’ perplessi come gli abitanti di Nardò – il paese dove tra l’altro è stato cucito uno degli abiti di Lauro – altrimenti sarebbero indegni del festival popolare della tv di Sanremo.

Per chi si chieda perché Lauro si sia vestito così, l’ultimo saggio sull’argomento è quello del mitico Reynolds (non è affiliate marketing, è solo un consiglio).

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